Liste pulite; Non siamo tutti grigi
Lo dico subito. E’ sacrosanto diritto del giovane candidarsi alle elezioni comunali. Nulla rileva la sua parentela per così dire ingombrante. E’ incensurato. Ha voglia di cimentarsi in questa campagna elettorale. E’ giusto che lo possa fare insieme agli altri novecento candidati (è questo il dato davvero esorbitante).
E’, però, altrettanto sacrosanto che il cronista possa trattare il caso e informare i suo lettori di come nelle compilazioni delle liste alcuni partiti cadano in contraddizione rispetto ai proclami dei loro leader nazionali.

Sbagliata invece è le reazioni degli amici del giovane candidato (forse messi fuori strada dai titoli urlati e dalle locandine) che si scagliano contro il cronista che tra l’atro ha il merito (molto raro) di trattare il tema con equilibrio, con rispetto verso le persone e senza ricorrere a quel metodo del fango che in casi simili viene sempre utilizzato da giornalisti più o meno famosi e affermati.
Il problema non sono quindi ne Mattia Lanzino, né Paride Leporace, figli entrambi del nostro centro storico di cui conoscono, come tutti noi che vi viviamo le difficoltà, le contraddizioni, ma anche la profonda umanità.

Il problema vero siamo noi cosentini e calabresi che ci siamo piegati con rassegnazione all’immagine distorta che ci hanno voluto affibbiare e disegnare addosso. E che, affetti da una sorta di sindrome di Stoccolma, ci teniamo ben stretta.
Del resto come spiegare altrimenti la corsa dei vari candidati a presidente della regione a ricevere la bolla di qualità da parte di un organismo ridicolo come l’attuale Commissione parlamentare Antimafia, presieduta tra l’altro da un dirigente contro il quale tutti i partiti avevano chiesto le dimissioni non meno di sei mesi fa. Abbiamo dimenticato che tra i primi compiti della politica c’è quello di selezionare la classe dirigente? Di decidere nella propria autonomia ci candidare e chi no?
Purtroppo ogni volta che applaudiamo le maxi retate, la celebrazione dei maxi processi, la costruzione delle maxi aule bunker, ogni volta che stiamo in silenzio perché è negata la celebrazione dei funerali ai pregiudicati, ogni volta che storciamo il naso quando ascoltiamo alcuni cognomi, ogni volta che decretiamo condanne preventive nei confronti di presunti innocenti, è come se ci rassegnassimo anche noi a farci dipingere come tutti neri, o peggio ancora come tutti grigi, tutti compromessi, tutti mascariati.
E allora dobbiamo accettare il paradosso che diventa non opportuna la candidatura di un giovane con un cognome ingombrante, ma, se questo abnorme principio vale, dovrebbero essere inopportune allo stesso modo anche quelle degli avvocati che difendono gli affiliati alle cosche, dei commercialisti che curano alcune attività, e di qualsiasi altro professionista che solo in virtù della propria professione abbia rapporti che qualcuno potrebbe definire equivoci.

A tirarci fuori da questa situazione, però, dobbiamo pensarci noi. Perché se aspettiamo che lo facciano i commissari dei partiti (di quasi tutti) che ignorano la storia e la geografia ne andremo delusi.
Questa campagna elettorale potrebbe essere l’occasione per discutere di questo grande tema. Ai candidati a Presidente e a Sindaco l’onere di farlo, oppure la responsabilità di continuare a subire l’onta infame di essere considerati tutti grigi.