Reggio 1970, mi inginocchio al cospetto della lapide
Questo intervento di Giacomo Mancini è stato pubblicato sulla prima pagina del Quotidiano della Calabria oggi in edicola
In un passaggio del forum con il Quotidiano della Calabria – che ha fornito l’occasione al candidato a governatore del PDL per produrre un’analisi a 360 gradi sui programmi, sulle alleanze e sul futuro della nostra regione – Giuseppe Scopelliti ha parlato di me dicendo: “Mancini é uno dei più grandi sostenitori della mia candidatura e io vedo in lui un giovane brillante che può contribuire alla crescita della mia terra”.
Quelle parole non sono solo un lusinghiero riconoscimento nei miei confronti ma, ancor di più, rappresentano la cifra politica cui è ispirata la candidatura di Giuseppe Scopelliti: dialogare e coinvolgere energie giovani che, pur provenendo da storie diverse, decidono di lavorare insieme, sostenendosi lealmente e unite da una vicinanza generazionale, per realizzare insieme un grande progetto di riscatto per la nostra terra.
Era prevedibile che, per ostacolare un approccio così moderno e lungimirante, coloro che si oppongono al cambiamento tentino di rinfocolare gli antichi contrasti, che hanno dilaniato la comunità calabrese ormai quaranta anni fa. Su quelle vicende il giudizio, sereno e obiettivo, spetta agli storici, dai quali sono sicuro che Mancini verrà considerato come un leader riformatore mai guidato da visioni grette.
Così come era scontato che il rapporto, stretto e profondo, tra un figlio politico della rivolta di Reggio del 1970 ed il nipote dell’allora segretario nazionale del PSI che, in quei giorni lontani, fu impiccato in effige in piazza, scombini i piani di quanti cercano di alimentare il campanilismo più becero e le divisioni più profonde tra i nostri territori.
Del resto, recentemente, l’onorevole Loiero ha, provocatoriamente, ricordato al candidato a governatore del PDL che la sede della giunta è a Catanzaro e non a Reggio Calabria.
Per questo non mi stupisce che si tenti di tener viva questa polemica. Né mi sorprende che ad intervenire sia stata chiamata chi porta un cognome non neutro. Infatti proprio lo spietato dittatore Stalin insegnava che il colpo più terribile per il nemico è quello assestato da chi a questi è più vicino.
Per me non è una novità. Da tempo, sono vittima del veleno di chi, nell’edizione del 24 dicembre, è stata ospitata sulla prima pagina de il Quotidiano della Calabria. Nel corso di ogni campagna elettorale devo subire i suoi astiosi attacchi. L’ultimo (anzi, adesso è il penultimo) fu scatenato in occasione delle elezioni europee dello scorso giugno. Il primo, invece, risale a dieci anni fa, quando mio nonno decise di presentare, per la prima volta, la mia candidatura. All’epoca, naturalmente, il bersaglio non fu la mia persona, ma mio nonno stesso che evitò, da allora, di rispondere alle pressanti telefonate che giungevano da Roma.
Per parte mia mi sono sempre imposto di tacere e di tenermi dentro l’amarezza e il dispiacere di questi attacchi tanto violenti quanto ingiusti. Se oggi decido di rompere il silenzio è non solo e non tanto per far notare come tanta acrimonia trovi giustificazione in interessi ben più prosaici di un presunto amore per la verità sui protagonisti della storia della Calabria: infatti, tra le altre miserie, di cui sono stato bersaglio, ci fu anche quella di subire una denuncia penale (sic!) per aver deciso – insieme a mio padre, il giornalista e scrittore Pietro Mancini, e alla vedova di mio nonno, la compianta donna Vittoria Vocaturo – di donare il monumentale archivio cartaceo, fotografico e filmico prodotto da Giacomo Mancini, al Senato della Repubblica, allo scopo di rendere più agevole la sua conoscenza ed il suo studio da parte delle nuove generazioni.
Ma ho deciso di intervenire, soprattutto, perché mi preme sottolineare e rimarcare la sfida che ha presentato ai calabresi Giuseppe Scopelliti.
La nostra missione è quella di costruire la nuova stagione della Calabria. Di guardare al futuro. Di provare a dare una speranza ad una comunità che la sta perdendo. Di provocare una rivoluzione serena contro i mali antichi della nostra aspra e complessa terra.
Per vincere questa sfida, che è così ambiziosa da far tremare i polsi, occorre mettere in campo uno sforzo corale, che faccia lavorare, gomito a gomito, anche chi porta con sé storie diverse, anche quelle che, nei lontani anni 70, si scontrarono, violentemente, lasciando sul campo dolore, sofferenza e morte.
Ed è proprio per questo che per parte mia – che mi sono sempre mosso, pur commettendo alcuni errori, con l’ obiettivo di onorare gli insegnamenti dello “statista del fare” Giacomo Mancini e di difendere la sua lezione politica, pagando per questo prezzi salatissimi – vorrei inginocchiarmi al cospetto della lapide, che ricorda i fatti e le vittime di Reggio Calabria nel 1970.
Mi inginocchio rispettoso e commosso per inviare un forte e credibile messaggio di omaggio per chi, purtroppo, è caduto e, insieme, di speranza per chi ha voglia di continuare a lottare per la nostra amata Calabria.
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