Nave dei veleni; emergenza o montatura?
Questo intervento è stato pubblicato sul Quotidiano della Calabria.
L’accorato appello con il quale Matteo Cosenza propone ai lettori de il Quotidiano una sottoscrizione da inviare al Premier per “per rimuovere i veleni dal mare e dalla terra” trasmette un grande senso civico e insieme rappresenta una dichiarazione di amore per la nostra regione.
Ed è proprio l’amore per la Calabria insieme al disperato bisogno di difendere la terra dove stanno crescendo i miei figli e per la quale siamo impegnati a porre le basi per l’inizio di un nuova stagione di governo, che mi spinge a proporre ai lettori de il Quotidiano alcune riflessioni che nascono da quell’approccio culturale che mi deriva dalla scuola politica alla quale sono stato educato, che mi ha stimolato sempre a tentare di guardare agli accadimenti mettendo in discussione la lettura preponderante.
Il Direttore mette insieme tre fatti che in tempi diversi hanno creato un allarme diffuso nell’opinione pubblica calabrese: i rifiuti radioattivi utilizzati a Crotone per costruire una serie di edifici pubblici, il ritrovamento di fusti presumibilmente contenenti sostanze nocive rinvenuti nei pressi di Aiello Calabro, e la vicenda arcinota della cosiddetta nave dei veleni affondata a largo di Cetraro.
Di queste tre vicende, tutte allarmanti e insieme devastanti per le conseguenze negative per la nostra terre e per l’intera comunità, l’unica ad essere stata accertata definitivamente ed in modo incontrovertibile è quella che riguarda Crotone e che evidenzia la cupidigia e la mancanza i scrupoli di una classe dirigente che, da sempre, e quasi ininterrottamente, ha amministrato quei territori.
Le altre due, e, soprattutto, quella della nave dei veleni, che grande scalpore e insieme profonda indignazione ha creato anche a livello nazionale, è ancora tutta da chiarire.
Anzi presenta tanti, oserei dire, troppi lati oscuri.
Ed infatti il pentito di ‘ndrangheta, che dopo più di un decennio (chissà perché?) dall’inizio della sua “collaborazione” costellata, tra l’altro, di fantasiose accuse contro fior di galantuomini, fornisce una ricostruzione dell’affondamento di una serie di navi cariche di fusti contenenti rifiuti radioattivi che è tanto inquietante quanto traballante nei riscontri.
Stando naturalmente alle notizie che è stato possibile leggere sui mass media, infatti, grazie alle dichiarazioni del pentito è stato possibile rintracciare un relitto ad undici miglia dal porto di Cetraro inabissato a 484 metri di profondità.
E, però, ancora esistono dubbi sul nome stesso del natante: il pentito dice che si tratta della Cunsky; invece i registri internazionali certificano che la Cunsky è stata dimessa nel 1992 nel porto indiano di Alag.
E ancora, mentre il pentito chiama in correità alcuni uomini d’onore della cosca di Cetraro come complici nell’affondamento, costoro smentiscono indignati osservando che mai e poi mai avrebbero contribuito ad infestare di veleni il mare dal quale ricavano attraverso la pesca il proprio profitto.
E da ultimo, a differenza di quanto sostiene il pentito che dice che al momento dell’affondamento la nave sarebbe stata completamente priva di equipaggio e passeggeri, le immagini televisive documentano la presenza a bordo di inquietanti resti umani.
Insomma esistono non pochi elementi per accostarsi alle dichiarazione del pentito con molta ma molta cautela.
Eppure sulle parole dell’ndranghetista, tutte ancora da dimostrare, si è ormai formata nell’opinione pubblica calabrese, nazionale ed anche fuori dai nostri confini, il convincimento che il mare calabrese sia infestato da rifiuti radioattivi.
Basta infatti consultare un qualsiasi motore di ricerca per avere conferma di quanto sia dilagante l’accostamento tra il mare calabrese e i rifiuti radioattivi. E’ del tutto evidente come questo binomio sia devastante per l’immagine della nostra terra e rischi, se alimentato, di creare danni incalcolabili alla risorsa più importante per lo sviluppo della Calabria che è il turismo.
Ed è per questo che appare veramente incomprensibile che in oltre un mese, in cui si parla della nave dei veleni, non sia stato possibile accertare se i veleni effettivamente ci siano e se effettivamente abbiano contaminato il nostro mare.
Ed è per questo che appare veramente ingiustificabile che chi governa la Calabria non abbia ancora dispiegato tutti i mezzi di cui dispone la Regione per contribuire a chiarire se il nostro mare è radioattivo oppure no.
Al contrario, in queste settimane, l’onorevole Loiero, che pure è stato vittima delle vergognose calunnie di alcuni pentiti e quindi sa meglio di altri quanto possono essere artatamente sollecitati i loro ricordi, non ha attivato tutti i poteri di sua competenza pur di poter denunciare, a soli cinque mesi dalle elezioni, il presunto disinteresse del governo nazionale per questa vicenda che preoccupa tutti i calabresi.
Ma insomma, per dirla senza giri di parole, è davvero così complicato scendere sott’acqua a 484 metri di profondità (e non stiamo parlando degli 11000 metri della Fossa delle Marianne) e registrare la presenza nel mare di sostanze nocive?
E’ così difficile registrare, quanto meno in superficie, se in quel tratto di mare esiste la presenza di inquinamento tossico?
E’ mai possibile che un’agenzia regionale come l’Arpacal che ha un bilancio di milioni di euro (in questi mesi sta effettuando centinaia di nuove assunzioni) non abbia mezzi e risorse per svolgere questo rilevamento?
Da un mese è nata la convinzione che il nostro mare sia contaminato.
E’ sacrosanto diritto dei calabresi sapere se tutto ciò è vero cosi da poter immediatamente tutelare la nostra salute e quella dei nostri figli che in quel mare quest’estate si sono fatti il bagno. Oppure sapere se abbiamo assistito ad una grossa montatura, così da muoverci immediatamente per cancellare gli effetti terrificanti di una così negativa pubblicità.
Giacomo Mancini
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